lunedì 14 gennaio 2013

IL LAVORO E LE DONNE IN MATERNITÀ.

Le aziende sono molto sensibili ai periodi in cui le donne vanno in maternità, anche se dal punto di vista sindacale esiste il diritto di restare a casa per un certo periodo di tempo. Da qui le aziende cercano di salvaguardare i loro interessi. Trovare un/una sostituto/a per quel periodo è sempre un costo aggiuntivo. Nei casi in cui la donna è una libera professionista e la gravidanza ha un decorso tranquillo, continua a lavorare senza alcun problema salvo lo stretto indispensabile in prossimità del parto. Probabilmente, e questo vale anche per altri casi in cui è coinvolto il problema della salute, il dipendente si avvale di questo diritto anche se potrebbe farne a meno. Stante il fatto che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati, rimane tuttavia il "buon senso". Se un dipendente ragionasse come se fosse il datore di lavoro e viceversa, in un rapporto di lavoro più collaborativo e trasparente si farebbero probabilmente gli interessi di entrambe le parti. Applicare le leggi o i rapporti sindacali in modo troppo restrittivo diventa un ostacolo alla crescita economica oltre che all'occupazione. È chiaro che se il lavoro comporta disagi o è pesante allora è sacrosanto tutelare madre e nascituro. Purtroppo "il buon senso" è defunto da molto tempo e ciascuno di noi si aggrappa alle tutele in modo quasi ossessivo, e le aziende cercano soluzioni a volte al limite della legge per non rinunciare ai loro profitti. È lecito che le aziende pensino al guadagno altrimenti non potrebbero sopravvivere e dare altro lavoro. Purtroppo però la fame di guadagno spesso prende il sopravvento e complica i rapporti di lavoro. Potrei continuare ma mi fermo qui, consapevole che la materia è molto più complicata.