lunedì 28 maggio 2012

Dal mio libro "Aveva ragione papà". Riflessioni sul licenziamento

Marco aspettò la mia telefonata per tutto il giorno seguente, ma non lo chiamai. Pensò che non avessi voglia di cenare con lui perché la ferita bruciava ancora e probabilmente preferivo rimanere a casa con mia moglie e i figli. Invece improvvisamente il giorno successivo il cellulare di Marco squillò.
“Marco. Tutto bene”?
“Sì, aspettavo la tua telefonata ieri e cominciavo a pensare che non sarebbe mai arrivata”.
“Che cosa dici. Non potevo lasciarti partire per Milano, senza rivederti”.
“Ne sono felice”
“Invece di andare al ristorante, Chiara gradirebbe che tu venissi a cenare da noi”.
“Molto volentieri”.
Il campanello della porta suona e mia moglie apre, trovandosi a tu per tu con un gigantesco e coloritissimo mazzo di fiori. Marco fa capolino tra i fiori...
“Che gioia rivederti Chiara dopo tanto tempo”.
“Che fiori meravigliosi. Ti sei ricordato che mi piacciono tanto eh!”
“Come avrei potuto dimenticarlo. E i vostri ragazzi?”.
“Sono usciti con gli amici come fanno spesso. Ho preparato una ricetta che, se non mi ricordo male, è la tua passione”.
“Davvero? Lasciami indovinare”. Due secondi per fare mente locale, poi, con l’indice della mano destra alzato, rivolto verso di lei esclamò sicuro.
“Coda di bue alla vaccinara”.
“Proprio quella. Contento?”
“Sicuro. Tu hai sempre cucinato piatti con gusti molto particolari, originali”.
In cucina e nella biblioteca, su in mansarda, mia moglie ha una collezione di libri di ricette comprati in ogni parte del mondo dove abbiamo viaggiato, roba da far invidia a un cuoco professionista. Le caratteristiche della sua cucina sono la fantasia, l’amore con cui guarnisce i piatti e la passione nel cucinarli. I cibi, prima ancora di assaporarli con la bocca, vanno gustati con gli occhi.
“Marco, ti presento mia madre. Da due anni vive con noi”. La mamma di Chiara non poteva più restare da sola a Roma, da quando era rimasta vedova qualche anno prima. Le sue condizioni di salute erano peggiorate, ma soprattutto non riusciva a comunicare per telefono perché la sua sordità era aumentata di molto negli ultimi tempi. La sua presenza è silenziosa: non riesce a partecipare alla conversazione. Ogni tanto, però, ama raccontare alcuni brevi episodi della sua vita e perfino qualche vecchia barzelletta per far capire ai presenti che c’è anche lei. Come non capirla! Il suo viso, ma soprattutto i suoi occhi brillano quando le persone intorno a lei la ascoltano e ridono, facendole capire che apprezzano i suoi aneddoti. Io e i figli ci siamo abituati a parlarle con l’alfabeto muto, mentre Chiara preferisce comunicare con lei scrivendo su pezzetti di carta. Il fratello di Chiara, nove anni in più di lei, è partito molti anni fa per andare a lavorare all’estero e adesso si è radicato in Brasile. La sua lontananza è spesso motivo di malinconia per l’anziana mamma. La serata passa veloce e serena, parlando di tante cose e Marco evita di parlare degli ultimi tristi avvenimenti. Io sembro essere ritornato al periodo del nostro primo incontro a Francoforte. Amo sempre parlare di me e delle mie avventure d’infanzia, soprattutto alcune che mi sono rimaste nel cuore. Gli amici mi apostrofano con un soprannome strano. Mi chiamano “Catastrofix” per quel mio modo di vedere sempre tutto nero; ma non è mica vero. Io spesso gioco su questo e accentuo il mio atteggiamento negativo per provocare la loro reazione.  Seduto nello scompartimento del treno che lo riporta a Milano, alla fine della sua permanenza a Torino, Marco ripensa a tutto quello che ha sentito e visto e non si dà proprio pace. Era contento di avere rivisto me e Chiara. Il treno ha un sussulto, si ferma, è già arrivato alla stazione di Milano. La confusione delle persone che prendono i bagagli per scendere interrompe i suoi pensieri.  Quella notte Marco non riesce a prendere sonno. Il mio licenziamento gli aveva affollato la mente con una marea di riflessioni. Pensava in silenzio, mentre sua moglie dormiva, a come poteva essere possibile che una persona così coscienziosa, amante del proprio lavoro, profondamente onesta fosse stata trattata in quella maniera. La prima cosa che gli venne naturale pensare fu:
“Se fosse capitato a me! Che reazione avrei potuto avere”! La mia famiglia sarebbe stata altrettanto comprensiva”? Una marea di dubbi cominciò ad assalirlo. Poteva stare tranquillo o doveva cominciare a guardarsi le spalle! Aveva già letto cronache di licenziamenti di dirigenti, ma non ci aveva mai fatto caso prima. Adesso che era stato colpito un suo amico che conosceva bene, che stimava, quella vicenda assumeva un contorno completamente nuovo, preoccupante. Il suo comportamento in ufficio cambiò profondamente. Non poteva permettersi il lusso di commettere errori. Lui aveva pressappoco la mia età ma ciò non gli impedì di iniziare a cercare altre possibilità d’impiego. Tutta questa storia era incredibile. Parlando con sua moglie discutevano sul fatto che né i giornali, né la televisione avessero menzionato la notizia. Si domandavano:
“Forse è troppo presto. È appena successo”.
Nei giorni successivi fecero maggior attenzione e scoprirono che un laconico messaggio di solidarietà era apparso su alcuni quotidiani.  Niente di più. Nel contratto dei dirigenti non ci sono salvaguardie, le aziende possono fare quello che vogliono.
Come deve essere stato diverso il mondo del lavoro negli anni della mia giovinezza e della mia maturità! Ho qualche vaga reminiscenza dei racconti che mi faceva mio padre sull’argomento, anche se non riuscivo a riflettere troppo su quanto ascoltavo allora. Solo all’inizio della mia attività lavorativa affrontavo questi temi con alcuni giovani colleghi e con amici più grandi di me con una certa esperienza lavorativa. Dicevano:
“Se volevi vivere tranquillo dovevi cercare un impiego nello Stato: il posto sicuro per eccellenza. Nessuno poteva mandarti via. Nelle aziende private invece poteva essere possibile che questo accadesse, anche se con bassissime probabilità. Avresti dovuto combinarne di grosse perché ti succedesse qualcosa. In una grande azienda, con centinaia di migliaia di dipendenti, è come se fossi stato assunto nello Stato”. Mi capita spesso di ripensare ancora oggi ai periodi della mia giovinezza e mi rivedo bambino, con il mio carattere fragile e insicuro, e poi ragazzo, determinato ma sempre pieno di complessi.
Il paradosso era che avevo sempre accettato il mio carattere perché in fondo avevo imparato a convivere con le mie piccole difficoltà. Che importanza aveva se ero timido e non riuscivo a parlare con una ragazza senza diventare paonazzo, o non riuscivo a far valere le mie ragioni. La cosa importante era quella di essere me stesso, di non voler a tutti i costi apparire diverso da com’ero in realtà.
Se solo avessi immaginato che molti ragazzi della mia età erano così, forse i miei complessi si sarebbero sgonfiati come un pallone appena bucato. Trovare fiducia in me stesso è stata una conquista giornaliera, facendo tesoro degli insuccessi incontrati. La mia graduale trasformazione, vissuta intensamente fin dai primi anni della mia vita, ha temprato il mio carattere e tenuta viva la memoria della mia fanciullezza fino ad oggi.
L’educazione ricevuta, la consapevolezza dei miei limiti, la fiducia che riponevo nel prossimo, la certezza che la vita non fosse poi così complicata come me la dipingevano, mi ha sempre protetto dagli atteggiamenti presuntuosi ed egoistici, e dal vantarmi dei successi quando riuscivo a raggiungerli.
Questi lati del mio carattere, insieme all’amore per la natura e la musica, mi hanno sempre aiutato e mai ostacolato... ma fino a quando? Sarebbe stato sempre così? Prima o poi avrei dovuto cedere anch’io? E in che misura? Sarei stato capace di rendermi antipatico a qualcuno? La vita è sempre piena di sorprese e di imprevisti dietro l’angolo. Ma procediamo gradualmente.
Mi capita spesso di rivedermi bambino, specialmente in quei momenti in cui la tristezza, la paura e i dubbi mi colgono di sorpresa pur nella granitica convinzione di aver operato nel giusto. Ripenso ai momenti in cui ho preso decisioni e cerco d’immaginarmi come sarebbe stata diversa la mia vita. Potevo diventare un musicista, magari uno scrittore, chissà.
Non è un esercizio inutile. Spesso ripensare alla propria esistenza aiuta a essere genitori migliori, a qualunque età. Nessuno ha influenzato le mie scelte, ma nemmeno mi ha indirizzato verso attività artistiche.